Una Piadina che è rimasta una Piadina... Simone Massenza
Anche il noto critico gastronomico Nicolò Scaglione parla di noi sul sui sito Il Sapere dei Sapori...
Brescia non viene spazzata dall’inverno, non vede il cielo muoversi verso il terso, i bagnini ringalluzzirsi e tirarsi il fisico e i lidi riaprire i paraventi spaventati da quel salmastro che si è portato via, da troppi anni, i colori e le maniere di una riviera sotto vento.
Brescia è una città statica in cui le tradizioni artigianali rimaste sono diventate un viaggio verso la provincia.
Verso i laghi, verso la bassa e verso le valli. Qui è rimasto un concentrato di centri commerciali e di svincoli periferici, dove ruotare tutt’intorno un centro che non è mai un interesse fino in fondo.
A parte candide e avvizzite eccezioni, gli artigiani han preferito rimirare le fatture lateralmente, in quel crescendo acritico che non ha mai posto il problema sotto gli occhi dei bresciani che han continuato a reiterare i propri riti e le proprie abitudini, rimbalzando da un luogo storico a un luogo storico, nonostante vendite, cessioni, fallimenti e accenti stranieri.
L’indubbio è rimasto comunque un continuare a cercare, spendere e non smettere.
Così ogni tanto qualcuno sbaglia strada e si accorge di come Brescia sia la città perfetta per non essere una città.
In quella via di mezzo che guarda al gastronomico, Simone Massenza, prima assieme al fratello, adesso in solitudine, sta provando, sovrapponendo tempo al tempo, a portare fuori uno dei prodotti più bistrattati e incivili (al di fuori delle quattro roccheforti tra Romagna e Marche) della cultura gastronomica italiana: la piadina.
Atavici riminesi e trascorsi estivi. Il fratello di Simone, Enrico, cha adesso ha deciso di provare una vita al di fuori delle farine, ha trascorso un tempo lavorativo fecondo alla corte della Lella a Rimini, dove ha rubato un mestiere, imparando gli impasti, i tempi e il modo romagnolo di mangiare la piada.
Da Urbino a Cervia è un crescendo di dimensioni, sfogliature, tempi, strutture, modi ma soprattutto untuosità. Se le tue mani non ne sono sature, il qualcosa che non va è diventato fattore predominante.
E da qui l’idea, a metà anni ’90, di aprire a Brescia, di lavorare giorno e notte, di farsi il proprio impasto, cercando di portare una cultura gastronomica in mezzo alle brume feline.
Simone è un conservatore tradizionalista che ha lavorato per anni davanti alla piastra di cottura mentre suo fratello si occupava degli impasti.
Decisioni altrui l’hanno portato a creare e a cercare.
Personale tutto femminile, due tipi d’impasti (tradizionale e al Kamut) e una piadina gourmet a rotazione.
Una di queste l’ha messa a punto con Simone Rodolfi, ottimo panificatore bresciano, che ha portato un po’ d’integralità nell’impasto.
Insieme a Londra per il pane azzimo migliore del mondo, hanno vinto, per materia prima e topping, in una categoria dove i (non)lievitati poveri del mondo venivano rappresentati da volti scavati e arsi al sole.
Dalla pita al burrito, dal chapati alla piadina, l’idea di Simone & Simone è rimasta in equilibrio su una tradizione riminese che anche a Brescia non può essere nascosta.
E così l’impasto classico è estremamente leggero. Una punta di strutto su qualcosa di prettamente contestuale al contenuto.
L’integralismo patinato del Kamut è arrivato per esigenze clientelari, così come i marchi e le certificazioni. Perché la piadina in fondo è… sempre e solo una piadina.
E le elucubrazioni gastronomiche devono sbattere pesantemente contro i prezzi: tre tipi di formati sul fresco e l’atmosfera modificata per permettere un idillio personale tra mura domestiche non troppo coercitive verso la quotidianità della propria alimentazione.
La farcitura, naturalmente, ha necessariamente degli asterischi, ma le spiegazioni di Simone mi hanno persuaso a sufficienza.
Qui i colpi di testa tagliano le gambe e la regolarità di avere il locale sempre pieno non può permettersi di diventare un’eccezione.
Così, sospendo il giudizio e mi rifaccio a quella mimesi che nella provincia di Brescia è diventata la piadina Amarcord di Simone.
Rimanendo nel popolare, tra taverne portuali e gaglioffi usciti dalle pagine di Genet, in questo grand guignol metropolitano, alcuni clienti si sono trasformati in contraffattori romagnoli/bresciani e hanno provato a portare a spasso marchi registrati (da Simone) per tutta la Lombardia.
Ma questa è un’altra storia e Simone preferisce rimanere sotto traccia, con il suo lavoro, con il suo tempo occupato, con quella sua maniera europea di discernersi come cittadino e con un paio di impasti che andrebbero celebrati piuttosto che copiati. Il tempo e la pianificazione (magari anche per il lievito madre…) gli daranno ragione…